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Storia della Bielorussia

La presenza umana in Bielorussia è testimoniata fin dalla prima età della pietra. Nel VI-VIII secolo d.C., durante l'espansione slava, sicuramente gli slavi dell'Est occupavano il Paese. Molte città bielorusse passarono sotto il dominio dei tartari dopo la sconfitta degli slavi, avvenuta per mano dei mongoli a Kiev nel 1240. Nel XIV secolo, la zona venne conquistata dalla Lituania, che permise alla Bielorussia di conservare la sua religione ortodossa e la sua lingua, ma ridusse la popolazione locale in una sorta di semi-schiavitù. Nel corso dei successivi quattrocento anni, la Bielorussia si trasformò in un'entità culturale distinta dalla Russia e dall'Ucraina. In seguito all'unificazione di Polonia e Lituania, avvenuta nel 1569, la cultura polacca esercitò un'influenza sempre maggiore in Bielorussia e la chiesa bielorussa passò sotto l'autorità del Vaticano.

Alla fine del XVIII secolo, la Polonia cominciò a indebolirsi e la Russia ne approfittò per invaderne i territori e conquistare la Bielorussia. La Russia era decisa a rendere la Bielorussia parte integrante della sua grande patria: le pubblicazioni in bielorusso vennero bandite e venne istituita la Chiesa russa ortodossa. Nel corso del XIX secolo, l'economia della Bielorussia cominciò a trasformarsi da agricola a industriale. Nel 1860, i servi della gleba vennero liberati, ma la povertà nelle campagne rimase così alta da costringere un milione e mezzo di persone a emigrare verso la fine del secolo. Dal momento che i russi costringevano gli ebrei a vivere in zone prestabilite (una delle quali era proprio la Bielorussia), la popolazione urbana ebrea crebbe in maniera considerevole nel corso del XIX secolo: in alcune città, più della metà della popolazione era ebrea. La maggior parte delle aree urbane erano occupate da ebrei e russi, mentre i bielorussi rimanevano confinati nelle campagne e continuavano ad avere una scarsissima influenza politica e un accesso quasi inesistente alle risorse del Paese.

Durante la Prima Guerra Mondiale, in Bielorussia ebbero luogo molte battaglie tra russi e tedeschi e gran parte del Paese venne distrutto. La Germania conquistò la Bielorussia, ma nel 1921 il Paese venne diviso fra la Polonia e la Russia Bolscevica (che l'anno successivo si chiamò URSS). Nel corso degli anni '30, la zona sovietica della Bielorussia fu soggetta a epurazioni e a collettivizzazioni agricole e la sua cultura e la sua indipendenza vennero distrutte. Migliaia di bielorussi vennero assassinati, soprattutto nelle foreste intorno a Minsk.

Nel 1939, quando la Polonia fu invasa da Germania e URSS, l'URSS si riprese la zona polacca della Bielorussia. Di conseguenza, i bielorussi si trovarono in prima linea quando, nel 1941, la Germania invase la Russia. L'occupazione tedesca fu selvaggia e la resistenza partigiana si diffuse ovunque. Nel 1944 i tedeschi vennero scacciati dall'Armata Rossa, ma questa operazione causò la distruzione della Bielorussia: Minsk venne rasa al suolo quasi completamente e un quarto della popolazione del paese morì. Molte delle vittime vennero uccise nei campi di concentramento nazisti oppure vennero deportate e uccise dall'URSS.

Il primo piano quinquennale del dopoguerra riuscì a sistemare gran parte dei danni causati dalla guerra e Minsk divenne un importante centro industriale per l'URSS. Molte persone si trasferirono a Minsk, compresi numerosi immigrati russi che permisero di alimentare la forza lavoro locale. Fino al 1980, i politici bielorussi cercarono di enfatizzare per quanto possibile l'identità nazionale della Bielorussia pur restando al sicuro all'interno della grande famiglia sovietica. Detto questo, però, bisogna anche sottolineare che la Bielorussia era conosciuta come una delle repubbliche comuniste più rigide dell'Unione Sovietica.

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Quando, nel 1986, ci fu l'esplosione della centrale nucleare di Chernobyl, la Bielorussia fu colpita più duramente della stessa Ucraina. Circa un quinto del Paese fu seriamente contaminato e l'opinione pubblica cominciò a esprimere dissenso rispetto all'appartenenza all'Unione Sovietica. Nel 1988, venne istituito il Fronte Popolare Bielorusso, con il compito di risolvere le questioni venute a galla con Chernobyl e per far rinascere la lingua bielorussa. Negli anni seguenti, i sentimenti nazionalistici aumentarono e il 27 luglio 1990 la Repubblica fece una dichiarazione di sovranità all'interno dell'URSS. Il 29 agosto 1991, il Partito Comunista fece una dichiarazione di totale indipendenza nazionale.

Stanislau Shushkevich, un fisico che aveva manifestato contro la negligenza delle autorità in occasione di Chernobyl, fu il primo capo di Stato. Egli si impose di perseguire una linea centrista a metà tra la vecchia guardia comunista e il Fronte Popolare riformista. Nei primi anni '90, la riforma economica proseguì molto lentamente e i comunisti riallacciarono molti legami con la Russia, contro la volontà di Shushkevich. Shushkevic fu sconfitto nel1994, in occasione delle prime elezioni presidenziali dirette della Bielorussia, vinte da Alexandr Lukashenko. Lukashenko promise di bloccare l'aumento dei prezzi, di fermare le privatizzazioni, di sconfiggere la corruzione e il crimine organizzato e di stringere legami sempre più forti con la Russia. Ma l'11 giugno 2002 è fallito a Pietroburgo il piano di unione politica fra Russia e Bielorussia presentato dal presidente bielorusso. La proposta bocciata dal presidente Putin prevedeva, fra l'altro, un parlamento unificato russo-bielorusso con capacità normativa di grado superiore rispetto a quella dei parlamenti nazionali dei due stati. Gli estesi poteri di quest'organo hanno richiamato alla memoria di molti osservatori quelli del vecchio Soviet Supremo e il disegno di governo dell'unione prospettato da Lukashenko è sembrato allo stesso presidente russo una Unione Sovietica in miniatura. Il divieto alla creazione di un organo sopranazionale non mette tuttavia in discussione la volontà da parte della Russia di continuare a rafforzare la profonda cooperazione economica già in atto per giungere all'introduzione di una moneta unica nei due stati. Lukashenko aspirava a incassare dall'operazione importanti dividenti politici (la sua ambizione lo aveva portato ad accarezzare l'idea di poter presiedere il parlamento comune), e l'azione di Putin mira anche a fargli prendere le distanze da Iran, Iraq e Siria inducendolo ad abbandonare la sua politica caparbiamente antioccidentale che lo ha recentemente portato a ritirare il gradimento al rappresentante dell'OCSE a Minsk. La prima conseguenza economico-politica del mancato accordo è stata la decisione di abbandonare il progetto, per altro già in avanzato stato decisionale, di costruire attraverso la Bielorussia una conduttura per il trasporto del gas verso l'Europa.

Il 19 novembre 2002, quattordici Paesi dell'Unione Europea hanno negato il visto di ingresso al presidente Lukashenko, e ai suoi collaboratori, in segno di protesta per le violazioni dei diritti umani in Bielorussia. Soltanto il Portogallo aveva sollecitato il riesame per il blocco dei visti, ma quest'eccezione deriva da divergenze tra Lisbona e gli altri stati membri dell'Unione riguardo l'Africa meridionale.

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